La patologia all’interno del sistema famiglia
Dott.ssa Mariangela De Pascale
Sintomo, disturbo e tratto di personalita’
La parola sintomo deriva dal greco ed ha due diverse accezioni, con qualcosa in comune. Il primo significato descrive la natura del sintomo: accidente, avvenimento fortuito; mentre il secondo si riferisce maggiormente alla sua funzione: urtare insieme, scontrarsi. Quando si parla di sintomo, solitamente ci si riferisce alla prima accezione, interpretandolo come indizio o segnale da essere preso in considerazione. Ma unendo i due significati si ottiene un’alternativa sistemica interessante: scontro tra più persone che attiva un accidente o segnale, o accidente o segnale che attiva lo scontro tra più persone (fonte internet).
In particolare, per ciò che concerne l’argomento qui esposto, vale a dire il sintomo inteso come personalità disfunzionale, Matteo Selvini e Anna Maria Sorrentino descrivono come disturbo della personalità “una configurazione pervasiva del carattere di una persona, che rappresenta un’organizzazione difensiva rispetto ai vissuti soggettivi di sofferenza, rispetto agli stress relazionali ed esistenziali, rispetto alle sfide evolutive; essa è caratterizzata da un funzionamento ripetitivo, per lo più non funzionale, proprio per il tipo rigido di risposta che viene messo in atto” (2004, p. 1). I sintomi emergerebbero, quindi, quando le organizzazioni difensive della personalità collassano o devono essere ulteriormente irrigidite per tenere a bada una nuova ondata di sofferenza. Si dovrebbe quindi ritenere normale la variabilità degli assetti difensivi riconoscibili in ogni individuo, ma patologica la sua rigidità, che si esprime in un impoverimento del funzionamento psichico. Quindi, più è importante la patologia, più queste caratteristiche della persona saranno rigide, inappropriate all’età e alla situazione, tali da procurare ulteriori quote di disagio soggettivo ed interpersonale.
Gli stessi autori, suggeriscono l’utilizzo del concetto di tratti, più che di disturbi di personalità, poiché appaiono più utili per entrare in sintonia con le persone, immaginare una possibile evoluzione e ipotizzare un approccio terapeutico rispondente ai loro bisogni (Ibidem).
Il terapeuta non si propone di riequilibrare i tratti in genere, tratti che danno specificità ad ogni singola personalità, ma lavora solo su quelli disfunzionali, che appaiono direttamente correlati alla sofferenza del soggetto e che stanno alla base dei sintomi.
Il sintomo nella famiglia e nel contesto sociale
Il modello sistemico postula che certi tipi di organizzazioni familiari siano strettamente correlati allo sviluppo e al mantenimento di determinate sindromi e che i sintomi del bambino, ad esempio, giochino un ruolo importante nel mantenimento dell’omeostasi della famiglia.
Il sintomo non è quindi solo un’etichetta data ad uno dei membri della famiglia, ma un fardello che è in grado di mantenere una sorta di equilibrio, seppur labile. Il paziente non è solo designato, ma si designa da solo, fino al momento in cui potrà abbandonare le vesti del “malato”.
Per l’approccio sistemico, quindi, l’unità psicologica non è più l’individuo, ma l’individuo stesso nei suoi contesti sociali significativi ed, in particolare, la famiglia (fonte internet).
Secondo Ugazio (1998) individuo e famiglia sarebbero infatti vuote astrazioni al di fuori del pattern che li connette: “l’individuo al di fuori delle relazioni comunicative entro cui è inserito si dissolve e la famiglia non esiste se non some con-posizione di individui” (Ibidem, p.26). L’autrice sottolinea come nel modello sistemico l’attenzione si sposti dalla famiglia come unità alla “con-posizione” degli individui. Il modo con cui ciascun soggetto costruisce la realtà risulta coerente con la particolare posizione che il soggetto occupa nel suo sistema di relazioni e interdipendente rispetto alla posizione degli altri membri della famiglia. La nascita in una particolare famiglia e in una particolare cultura, così come la storia delle precedenti con-posizioni, delimitano, quindi, le possibili posizioni con cui ciascun individuo può con-porsi con gli altri, ma proprio questa delimitazione dà realtà all’io.
Secondo Toman (1961 in Kerr, Bowen 1988), anche certe caratteristiche della personalità sono determinate dalla costellazione familiare originale in cui cresce un figlio. Egli ha definito come prevedibili determinate caratteristiche della personalità, che sarebbero associate alle posizioni dei fratelli in famiglia ed inoltre dai profili delle posizioni fraterne sarebbe prevedibile la concordanza di personalità di due partner coniugali.
Già Sluzki e Veron, in un articolo del 1971 [1] (Ugazio, 1998) avevano ipotizzato che l’universo semantico tipico di ciascuna nevrosi e lo sviluppo di una sintomatologia vera e propria, fossero l’esito di pattern di interazione specifici che avevano caratterizzato in precedenza l’esperienza del soggetto nel nucleo familiare originario.
Anche la Selvini Palazzoli (fonte internet) considera il sintomo il punto di partenza dal quale poter costruire l’intero percorso terapeutico, che non ha la finalità della guarigione, ma il risanamento del clima familiare e delle sue dinamiche interne. Non a caso parla di “giochi familiari. Giochi che il terapeuta deve scoprire, mettendone allo scoperto regole e norme implicite, per arrivare ad una ridefinizione dei legami e dei rapporti.
Il processo interattivo familiare può quindi essere raffigurato come una “partita” nella quale si devono però sempre includere anche gli eventi aleatori, ma in linea generale è possibile affermare che il sintomo psichiatrico esplode in quel figlio/a che si è totalmente coinvolto nel gioco genitoriale, che costituisce per lui tutto quanto il suo ristretto universo affettivo e cognitivo (Selvini Palazzoli, Cirillo, Selvini, Sorrentino (1988).
Inoltre è possibile interrogarsi su quali rapporti sussistano fra le microstorie familiari che producono i quadri psicopatologici più ricorrenti e il contesto culturale più ampio. Bateson (Ibidem) ha più volte ribadito che il comportamento quotidiano è intriso di idee, di teorie quasi filosofiche, di principi astratti, e che la psicopatologia sottende premesse problematiche, e anche errori di un’intera cultura. Non esisterebbe infatti qualcosa come una natura umana indipendentemente dalla cultura. L’uomo privo di cultura non sarebbe altro che un mito e allo stesso modo non esisterebbe una patologia che non esprima le premesse culturali del contesto sociale, oltre che familiare, entro il quale si sviluppa.
La diagnosi
Matteo Selvini (2006) distingue un sistema diagnostico relazionale, quello trigenerazionale, che si focalizza sulla storia e sui processi di trasmissione di tratti e comportamenti attraverso le generazioni, da uno di diagnosi sistemica che punta i suoi riflettori soprattutto sul qui ed ora della famiglia (aspetto sincronico), pur tenendo conto di alcuni fatti fondamentali che segnano la storia di quella persona e di quella famiglia (aspetto diacronico).
Affermare che almeno tre generazioni sono in gioco significa postulare l’esistenza di un asse verticale lungo il quale vengono trasmessi di generazione in generazione i modelli di relazione e di funzionamento, accanto ad un asse orizzontale che invece raccoglie l’ansia prodotta dalle situazioni di stress che la famiglia incontra nel proprio cammino attraverso il tempo, adattandosi più o meno attivamente al cambiamento ed alle modificazioni provocate dal superamento dei vari stadi del ciclo di vita.
Per comprendere i reali problemi della famiglia bisognerebbe individuare il punto d’incontro tra l’ansia “verticale” e quella “orizzontale”, poiché alle difficoltà (ereditate) dalle generazioni precedenti (asse verticale) ed a quelle di cui si fa esperienza percorrendo il ciclo di vita, vanno aggiunte poi le difficoltà che derivano dal fatto di vivere “qui ed ora”.
Patologia e struttura familiare
È possibile individuare delle specifiche strutture [2] familiari che con una probabilità molto maggiore della pura causalità si associano a specifici sintomi o disturbi della personalità (Selvini M., 2006).
Secondo Ugazio (1998), ad esempio, ciascuna organizzazione psicopatologica si sviluppa all’interno di un contesto familiare caratterizzato da una specifica polarità semantica. Tale polarità rappresenta una condizione necessaria, ma non sufficiente, per lo stabilirsi di una specifica organizzazione psicopatologica. Lo sviluppo di ciascuna psicopatologia dipende invece dalla particolare posizione che l’individuo e le persone per lui significative assumono rispetto alla polarità critica. Si tratta di una posizione che induce l’individuo a sperimentare, proprio in rapporto a tale polarità, una situazione di doppio legame, o meglio di “circuito riflessivo bizzarro”.
L’ipotesi che l’autrice avanza è che ciascuna delle tre sindromi psicopatologiche a cui fa riferimento (organizzazioni psicopatologiche fobica, ossessiva-compulsiva e anoressico-bulimica) è espressione di uno specifico contesto “conversazionale” familiare e di una posizione altrettanto particolare che il paziente e gli altri membri della famiglia assumono rispetto alla dimensione semantica critica, ma contemporaneamente ciascuna organizzazione psicopatologica esprime alcune premesse del contesto culturale più ampio.
Non va comunque mai dimenticato che neppure tra tratti di personalità e configurazioni familiari si può stabilire un legame di causalità lineare, data la natura complessa di questi fenomeni.
Mariangela De Pascale, aprile 2010
Riferimenti bibliografici
Kerr M.E., Bowen M., (1988), La valutazione della famiglia – Un approccio terapeutico basato sulla teoria boweniana, Trad. it. Astrolabio, Roma, 1990.
Selvini M., 2006, Dodici dimensioni per orientare la diagnosi sistemica, Accademia di Psicoterapia della famiglia, Roma in www.scuolamaraselvini.it
Selvini M., Sorrentino A.M., 2004, Tratto disfunzionale di personalità, costellazioni di tratti e diagnosi di personalità come guida del trattamento psicoterapeutico in www.scuolamaraselvini.it
Selvini Palazzoli M., Cirillo S., Selvini M., Sorrentino A. M., 1988, I giochi psicotici della famiglia, Raffaello Cortina Editore, Milano.
Ugazio V., 1998, Storie permesse storie proibite – Polarità semantiche familiari e psicopatologiche, Bollati Boringhieri, Torino
[1] The double bind as a Universal Pathogenetic Situation. [2] La dimensione strutturale è quella inaugurata da Minuchin (1974) e che si riferisce all’organigramma della famiglia in termini di gerarchie rispettate, vicinanza/lontananza, confini, sottosistemi.
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