Depressione – Che fare?
Tutti gli autori che in anni recenti si sono occupati di depressione, si trovano concordi a sostenere che la diffusione delle varie sintomatologie di natura depressiva (alcuni sostengono addirittura, che il problema possa coinvolgere, se comprendiamo anche le forme lievi, addirittura il 50% della popolazione!) non è tanto legata alla difficoltà di trovare cure efficaci per il trattamento, ma quanto al fatto che la depressione tende a non essere curata o viene mal curata.
La depressione è una esperienza terribile per chi la vive, spesso vissuta come un brusco stop nel percorso di vita, un “tunnel” che coinvolge non solo il soggetto ma anche la sua famiglia, e che ha ripercussioni deleterie sulle relazioni, sul lavoro, e sugli affetti. Eppure nella quasi totalità dei casi, un trattamento adeguato è in grado di normalizzare la vita psichica.
Ma allora ci chiediamo: se le cose stanno così, come mai moltissime depressioni continuano a non essere trattate o non vengono trattate adeguatamente, nonostante l’efficacia delle terapie disponibili?
I motivi di ciò possono essere tanti. Un fattore a nostro giudizio importante, ha a che fare con la rappresentazione dei disturbi emotivi come condizione di debolezza e di inadeguatezza, a fronte di modelli culturali che esaltano e valorizzano la forza, la sicurezza, la determinazione. Ciò rischia di creare nella persona una non accettazione del proprio vissuto. Si preferisce minimizzare la sofferenza e negarla piuttosto che accettare di avere un problema e dovere chiedere aiuto.
Meglio dirci che passerà, attribuire la sofferenza sentita al lavoro, ai figli, ai problemi con il partner, piuttosto che ammettere a noi stessi che qualcosa dentro si è spezzato. Dirlo significherebbe dichiarare di avere qualcosa che non va, e questo potrebbe farci sentire dipendenti, bisognosi, difettosi, ammalati.
In altri casi, soprattutto in situazioni più gravi, succede invece la cosa opposta, il soggetto entra completamente nel ruolo dell’ammalato, e tende a rappresentare la propria condizione senza via d’uscita, come destino ineluttabile, come fine di ogni cosa.
A volte questi soggetti dicono di avere “l’esaurimento nervoso”, che è una definizione abbastanza usuale nel linguaggio comune, ma inesistente come categoria psicopatologica.
Il concetto di esaurimento nervoso e fuorviante, perché porta con sé una teoria sottostante inesatta e dannosa, che potremo descrivere così: il dolore sentito, dipende da una energia psichica che è finita, si è consumata, che si è appunto esaurita. Ne consegue l’inutilità di qualunque intervento. Non c’è modo di ristabilire l’energia psichica esaurita, così come non si può ottenere un fiammifero integro da uno che si è consumato e che si è spento.
Le cose in realtà non stanno così, nella depressione “l’energia” non si è consumata, ma viene impiegata in modo errato, investita in rappresentazioni, affetti, emozioni che producono dolore. È’ questa la distorsione sulla quale interviene la Psicoterapia.
Il primo passo che deve fare chi soffre di depressione, è sforzarsi di vedere le cose in un altro modo, trovare la forza di ammettere di essere in difficoltà e avere il coraggio di chiedere aiuto, anche se la tentazione sarebbe quella di negarlo. Ammetterlo è difficile perché è un po’ come rassegnarsi ad essere incapaci a reagire, dichiarare di essere deboli, inadeguati, e questo inoltre ci fa sentire in colpa, perché ci sembra di non potere fare fronte alle nostre responsabilità.
In questi casi, andrebbe ricordato che quel senso di inadeguatezza, di fallimento e di colpa è parte integrante della sintomatologia depressiva. Così come, è parte della sintomatologia l’atteggiamento rinunciatario, che si rassegna al dolore e che non lascia più intravedere un futuro, come se si fosse arrivati ad un punto morto, come se non ci fosse più niente da fare né da desiderare.
In realtà il momento in cui il soggetto diventa consapevole di avere un disturbo emotivo, che deve essere trattato e che necessita di un aiuto, è un momento importante, perché è il primo passo per invertire la rotta. In quel momento è come se una voce interna stesse dicendo che è giunta l’ora di occuparsi del problema, di affrontarlo. Questa propensione attiva dice basta al senso di fallimento e pone il soggetto in una prospettiva di cambiamento e di ricerca di una soluzione che interrompe l’idea patologica che non c’è niente da fare.
Trattamento della depressione
In generale possiamo dire che un trattamento adeguato è in grado di ridurre sensibilmente la sintomatologia depressiva nei casi più gravi e di restituire un funzionamento di base come quello pre malattia nella maggior parte delle situazioni.
I progressi della ricerca sui disturbi dell’umore suggeriscono che sia i farmaci che la psicoterapia possono essere necessari nel trattamento della depressione maggiore: i farmaci possono influenzare i meccanismi biochimici che sottendono la sintomatologia, mentre, la Psicoterapia risulta necessaria per esplorare i significati associati ai fattori stressanti che alimentano il circolo depressivo, nonché per allentare i nessi tra esperienze traumatiche del passato e situazione di vita attuale.
Contrariamente a quanto si ritiene, il farmaco da solo non è in grado nella maggior parte dei casi di risolvere il disturbo, ma solo di alleviarne i sintomi: una ricerca di C.B.Nemeroff (1998) dimostra che solo il 65 % dei pazienti depressi risponde a un antidepressivo con una riduzione del 50% della gravità dei sintomi e che addirittura solo il 30% torna a uno stato di benessere e serenità.
Inoltre la terapia farmacologica è spesso inefficace nella depressione minore e questi pazienti possono avere invece bisogno di una Psicoterapia per essere restituiti a un funzionamento normale (Thase e coll. 1997).
Nelle depressioni maggiori l’associazione di farmacoterapia e Psicoterapia risulta essere di gran lunga l’approccio più efficace (Thase e coll. 1997).
Molte ricerche hanno ormai dimostrato che la modalità più efficace per curare le depressioni più gravi è quella che integra il trattamento farmacologico e quello psicoterapico (per esempio vedere Keller e coll. 2000).
Un discorso a parte va fatto sui rapporti tra depressione e disturbi di personalità. Non prima però, di avere chiarito cosa intendiamo con questo termine.
Nelle discipline psicologiche si intende per Personalità l’insieme di aspetti di una persona che hanno un basso tasso di variabilità nel tempo. Ci riferiamo, volendo semplificare, al carattere di una persona, al suo modo tipico e unico di funzionare, sentire, pensare, agire, il quale rimane costante nel tempo e nelle diverse situazioni.
Ebbene, a volte è proprio questa dimensione che si altera e in questi casi parliamo di disturbi della personalità. Essi sono trattabili con la Psicoterapia e non con i farmaci, i quali possono intervenire al limite su alcuni sintomi che compongono il disturbo, ma non sull’insieme dello stesso.
Tornando al nostro discorso sulle connessioni tra depressione e personalità, possiamo affermare da una sintesi della letteratura, che ci sono sufficienti evidenze sui seguenti punti:
1. Certi disturbi di personalità possono contribuire a mantenere una depressione in atto.
2. Che oltre al disturbo depressivo, esiste un disturbo depressivo di personalità, cioè una condizione che pur manifestandosi con una sintomatologia di tipo depressivo, riguarda l’assetto globale di funzionamento della persona.
3. Nei gravi disturbi di personalità, come per esempio in quello borderline, si riscontrano sintomi di tipo depressivo che sono però da considerarsi entro il quadro del disturbo di personalità stesso e non come entità a sé.
In tutti questi casi, in cui i sintomi depressivi sono sostenuti o secondari a un disturbo di personalità, i fattori caratterologici implicati possono rendere scarsa la capacità dei farmaci di incidere sul vissuto depressivo. Al contrario, la Psicoterapia costituisce un’importante risorsa che consente di agire sia sul disturbo di personalità che sulla sintomatologia depressiva.